Da qualche tempo, noi di Linklab siamo alla ricerca di neologismi. Non nel senso che ci siamo autoimposte un lavoro di ricerca metodica di ciò che succede nella lingua italiana, quello è compito della Crusca: c’è chi studia con regolarità e passione la continua evoluzione della nostra magnifica, fluidisonante lingua. Si leggono i quotidiani, si ascoltano dibattiti e alterchi vari alla televisione, si orecchieggia qui e là come parlano le persone tra di loro per carpire le più o meno segrete tendenze del linguaggio di ogni giorno.
Sono così entrati a far parte del parlar comune aggettivi che finiscono sdolcinatamente in -oso (puccioso? morbidoso? l’ormai trito petaloso?), termini tratti da libri o film (babbano), da applicazioni, software, motori di ricerca ormai di uso comune (whatsappare, googlare); ci sono le parole macedonia, che piluccano un po’ da una parola e un po’ da un’altra per “fare prima” (apericena, buongiornotte). I miei figli sono una fonte costante di stupore, da questo punto di vista: mi hanno chiesto di non shipparli con le amiche (non cercare di far nascere una storia d’amore tra i due), se mi altero devo sforzarmi di sciallare, se so come finisce un film, guai a spoilerare! Shish…
E noi invece abbiamo deciso di inventarne delle nuove: trovare qualche parola inedita, nata dal connubio di più lessemi; creare, plasmare, forgiare una nuova entità mai udita prima ma di facile comprensione e intuizione. Compito affascinante, senza dubbio alcuno, ma altrettanto agghiacciante se la mente, presa da tutt’altri pensieri, si rifiuta di agire al di là degli schemi, di concentrarsi su qualcosa che non siano gli impegni quotidiani e l’organizzazione della pienissima vita, tra figli shippati e apericena saltati per il troppo da fare.
Ma la curiosità è sempre in agguato e spunti di riflessione possiamo trovarli ovunque, a ben guardare. Persino nei tweet dei presidenti statunitensi. SOPRATTUTTO nei tweet dei presidenti statunitensi.
Nell’arco di qualche anno, il caro Trump si è fatto notare per il proprio peculiare utilizzo della lingua inglese. Bérengère Viennot, interprete ufficiale del linguaggio trumpiano in francese, racconta in un’interessante intervista, Lost in Trumpslation, delle molteplici difficoltà incontrate nel riproporre adeguatamente dichiarazioni e discorsi del presidente, proprio perché il suo linguaggio appare poco “evoluto”, paragonabile, a suo dire, a quello di un bambino delle elementari.
“I’m very highly educated. I know words. I have the best words,” proclama Trump: sono molto istruito. Conosco parole. Ho le parole migliori. Si nota fin da questo limitato esempio l’utilizzo di parole brevi, prese dal lessico di base, di una sintassi rudimentale priva di subordinate; si nota la scarsa coerenza e coesione tra i concetti riportati, mentre primeggiano poche, energiche parole chiave ripetute e ripetute e ripetute.
Ma il suo vezzo risiede nel riuscire a trasformare un refuso, maniacalmente e concitatamente twittato a notte fonda, in un argomento di studio e di interesse a molteplici livelli.
Il 31 maggio 2017 il presidente cinguettò: “Despite the constant negative press covfefe” (qualcosa che suona come: “Nonostante la continua avversità della stampa covfefe”). La risposta del pubblico fu immediata, sarcasticamente pungente, esilarante in molti casi. Sei ore più tardi, resosi conto dell’errore (ovvero avvertito da qualche buonanima), ribatté, scherzoso: “Chi riesce a indovinare il vero significato di ‘covfefe’? Divertitevi!”. Si trattava quasi sicuramente un refuso per coverage, copertura, infatti le lettere per erage e fefe sono vicine sulla tastiera. Ciò non toglie che, anche in tal caso, la frase risultasse monca (“Nonostante la continua copertura avversa della stampa”… e poi?).
La macchina di guerra antitrump era ormai avviata, però: impossibile arrestarla! Ci fu chi definì covfefe “una parola usata per finire un tweet che non avrebbe mai dovuto essere cominciato”, o anche “un sostantivo usato quando vuoi scrivere ‘coverage’ ma le tue mani sono troppo piccole per premere tutte le lettere sulla tastiera”.
Meme, gif, fotomontaggi fiorirono per l’occasione; furono stampate magliette, tazze a tema, berrettini col frontino e in grande, spavaldo, il memento covfefe. Il blog di Oxford Dictionary (per cui non la parte più “ufficiale”, che preferì un banale “Youthquake”) scelse come parola dell’anno 2017 il termine più cercato dagli utenti sul loro dizionario online: il nostro simpatico “covfefe”. In Svizzera si volle lanciare la bevanda energetica “Covfefe”, che doveva originariamente essere seguita da una linea di vestiti con lo stesso nome; fu registrato il sito www.covfefe-swiss.com, inteso a servire da piattaforma per la vendita dei prodotti, che purtroppo ora risulta Impossibile da raggiungere. Divenne una bevanda venduta al Broken English Taco Pub di Chicago: un cocktail a base di caffè, rum speziato e crema liquore alla banana… Numerosi e-book furono messi gratuitamente a disposizione dell’avido pubblico, da “Covfefe: A word by any other name…” (che si potrebbe shakespearianamente tradurre come “Covfefe: in fondo, che cos’è una parola?”), al ben più piccante “Covfefe Bigly: An Erotic Wonderland” (qualcosa come “Covfefe forte: il Paese delle Meraviglie erotiche”).
La mia preferita, in quanto sempreaffamata gourmet, è la ricetta postata su Facebook per il perfetto covfefe: basta un po’ di covfefe 100% colombiano, tostatura scura; 2 cucchiaini da tè di zuczabab; 1 tazza di lattete; mescolare per 5 minutvbleble; versare su una larga tortililulululu (lulu ad libitum); schiacciare; servire in tazzgaga grande. Mmmmh! Nonostante la continua avversità della stampa, il gusto è deliziosuvehfofah! (traduzione a cura della sottoscritta, mi perdonino i puristi).
Chissà se anche il suo nuovo conio, risalente a poche settimane fa, esattamente al 15 gennaio di quest’anno, godrà di altrettanta fama: la sera prima, Mr Trump offrì gentilmente a una squadra universitaria di football americano, i Clemson Tigers, del “buon cibo americano […]: 300 hamburger e tante, tante patatine fritte – il nostro cibo preferito”. Trecento sono già tanti, anche per dei ragazzoni robusti come loro; ma a Trump non bastavano! Quindi, la mattina dopo, si vantò di aver portato in tavola “quantità massicce di Fast Food (ho pagato io), più di 1000 hamberders, ecc. Nel giro di un’
ora, avevano finito tutto.” Poco dopo, quei geniacci di Burger King twittarono le proprie scuse: “A causa di un ordine massiccio ricevuto ieri, siamo rimasti senza hamberder. Oggi serviremo solo hamburger”. Peccato!
Bene, il tempo dei lazzi e svolazzi è finito, basta divertirsi con tweet e trumpismi vari. Ho un compito, dicevo, affascinante e agghiacciante al tempo stesso: inventare un neologismo: un compito davvero… agghiascinante! Oh, santo cielo, no no no… forse devo lasciare questo compito ai presidenti americani. Ma qualcuno ne ho inserito, nell’articolo. Chissà chi li trova? A buon intenditor… pochi covfefe.