Come mai di tutte le specie viventi presenti, solo noi, esseri umani, abbiamo un linguaggio basato su codici atti a produrre delle combinazioni infinite, mentre gli altri animali, pur avendo anch’essi un sistema decodificato come il nostro, no?

Non potendo dare una risposta a domande simili, ben vengano gli scienziati, gli esperti i quali, pur supportati da mille analisi, ci introducono a misteri come questi.

Partiamo dalle basi, rifacendoci ovviamente a tappe ormai fondamentali, raggiunte nello studio della lingua come quella segnata da Noam Chomsky, teorico della grammatica generativa. Chomsky ha provato come il linguaggio sia caratterizzato da strutture innate uniche nel loro genere, superando in questo modo la concezione della linguistica tradizionale che si concentrava invece sullo studio delle diversità dei linguaggi.

Sulla scia dei più recenti studi, a ben ragione oggi si può dire che la lingua sia caratterizzata da un sistema infinito. Cosa significa? La frase “Giovanni corre” è diversa da “Giovanni corrono”. Quest’ultima è sbagliata. Corrono non si allinea con il singolare Giovanni. Ma se si mettesse altro prima di “Giovanni”, per esempio: “Coloro i quali amano Giovanni corrono”, ecco che la frase assume un significato. E se si mettesse altro ancora: “Giovanni e Laura e la sorella di Giovanni insieme al figlio, ecc, corrono” e così via all’infinito, la frase avrebbe comunque un senso. Si tratta di una struttura dove un elemento di un certo tipo è contenuto in un elemento dello stesso tipo. Una specie di scatola cinese, una frase dentro una frase, e questo lo si può fare all’infinito.  Ebbene, questo sistema infinito, che usa il linguaggio, è attivo in altri due domini cognitivi dell’essere umano: la musica e la matematica. Non esiste la frase più lunga, la melodia più lunga e nemmeno il numero più grande.

Io trovo questo molto affascinante. E ho trovato affascinante anche una lezione del linguista e neuro scienziato Andrea Moro, lezione che in qualche modo vi riporto. Vorrei iniziare proprio con una sua osservazione, che sfido non possa dar fastidio a quella fetta di popolazione che sulla base delle proprie idee strumentalizza o scredita le ricerche scientifiche.

L’osservazione (e successivi sviluppi) è questa: “tutti ci vendono il fatto che la scienza sia una lettura oggettiva della realtà. Tutta la scienza è invece condizionata dall’ideologia. Dalle scelte filosofiche. Questo non vuol dire che la scienza non si basi su scelte empiriche ma significa, com’è ovvio pensare, che la scienza deve essere valutata di volta in volta, perché c’è sempre qualcuno che manda all’aria qualcosa “.

L’osservazione si applica giustamente anche al linguaggio. La lingua è una dinamica talmente affascinante e misteriosa che non potrà mai venire spiegata attraverso regole grammaticali o convenzioni culturali di natura arbitraria. Come dice Chomsky: “le lingue sono così complesse che è impossibile impararle seguendo un percorso di tentativi ed errori”. Perché?  Perché sono proprio le regole ad essere una Babele, sono una convenzione. Se esiste una relazione tra linguaggio e cervello, non è detto che il linguaggio influenzi il cervello, forse è esattamente il contrario. Per fare un esempio: nel semaforo non è il colore giallo che attiva nel cervello la fase dell’attesa. L’abbiamo stabilito noi. Un conto quindi è una convenzione, un conto è la natura delle cose.

In campo linguistico la sfida che si sta portando avanti in tutti i laboratori del mondo, soprattutto in Germania e negli Stati Uniti, è capire se anche i tipi di regole della grammatica (le convenzioni) dipendano dal cervello e quindi facciano anch’esse parte della natura delle cose.

L’equipe del succitato Andrea Moro ha condotto un esperimento dimostrando che sì, i tipi di regole della grammatica dipendono dal cervello e non dalle nostre convenzioni. L’esperimento, pur non recentissimo (2001) ha voluto provare l’esistenza nel cervello di una rete dedicata alla sintassi. Per arrivare a questo i ricercatori si sono inventati una lingua senza significato ma provvista di sintassi (nome, verbo e complemento) e hanno provato a vedere quali meccanismi si sarebbero attivati nel cervello in corrispondenza dell’area adibita al linguaggio, chiamata area di Broca (già scoperta a suo tempo, nel lontano 1860). Esempio di frase senza significato: Il gulco gianigeva le brale, oppure: il lappento non tonce mai, oppure: il triaggo flabbisce ogni lustasio.

In un secondo momento si è provato ad alterare l’ordine della sintassi Gulco il le brale gianigeva, a fare errori di tipo morfosintattico: il gulco gianigevano la brala, ed errori di tipo fonologico: il gulco gianigrzeva la brala. Ebbene si è notato che questi errori attivavano la stessa rete che coinvolgeva l’area di Broca. Successivamente si è fatto un altro esperimento su dei parlanti esclusivamente tedeschi, ai quali è stato insegnato l’italiano utilizzando delle regole in parte giuste e in parte sbagliate. Una volta apprese le regole, i soggetti sono stati esposti sia a frasi sintatticamente giuste, sia a frasi sintatticamente sbagliate e si è notato che di fronte a frasi sintatticamente sbagliate, l’area del cervello adibita al linguaggio le rifiutava sistematicamente. Non si attivava, le considerava altro rispetto a delle frasi, altro rispetto al linguaggio. La struttura del linguaggio quindi non dipende dalle nostre convenzioni.

Ritorniamo quindi alla prima domanda, ovvero come mai di tutte le specie viventi presenti, solo noi, esseri umani, abbiamo un linguaggio basato su dei codici atti a produrre delle combinazioni infinite e gli altri animali, pur avendo anch’essi un sistema decodificato come il nostro, no?

Come dicevo, non si può dare una risposta univoca a una domanda come questa, ma magari qualche spunto di riflessione sì. Io credo ci sia un legame insito tra la parola e la musica, ma anche tra la parola e il ritmo, tra la parola e il silenzio. In principio era il verbo, recita l’incipit del Vangelo di S. Giovanni. Il termine logos che viene tradotto nel periodo illuminista con “verbo” o “parola”, prima del ‘700 era generalmente inteso come “suono”. Shiva, nella tradizione hindu, crea il mondo danzando e il tamburello è lo strumento musicale con cui ritma la sua danza. Il silenzio vale perché qualcosa parla, la musica ti fa ascoltare il silenzio… Sono tutte componenti che hanno in sé un elemento divino, infinito appunto. Non si spiegherebbe altrimenti perché certe poesie o romanzi o anche solo una parola detta a qualcuno in un certo modo produca qualcosa di inspiegabile. Proprio come la musica. Il linguaggio è sì biologicamente decodificabile, finito ma composto anche da qualcos’altro che codificabile non è. Può apparire una constatazione banale ma il segreto per trovarvi dell’eccezionale è prenderne coscienza. Coscienza del fatto che noi abbiamo qualcosa in più, qualcosa di speciale e inarrivabile rispetto a un robot o alla specie animale. Quasi tutti ce ne dimentichiamo.

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