Se c’è una caratteristica che da sempre ha contraddistinto l’Uomo è la creatività: la capacità di immaginare, di prevedere, di plasmare storie, racconti, narrazioni di ogni genere. “E se…?” è la domanda che si presenta con maggior frequenza nelle menti degli autori: “E se esistesse qualcuno che trae nutrimento dal nostro sangue?”, si dev’essere chiesto Bram Stoker; “E se ci fosse la possibilità di dar vita a un essere vivente partendo da pezzi di cadaveri, grazie a un impulso elettrico che riavvii le terminazioni nervose?”, sarà stata la domanda di Mary Shelley; “E se un cane rabbioso prendesse di mira madre e figlio chiusi in una macchina, impedendo loro di uscire per giorni?”, è un interrogativo che può aver stimolato Stephen King.

Come esseri umani, quando leggiamo i notiziari, la cronaca, quando ascoltiamo tele- e radiogiornali o semplicemente i racconti di amici, conoscenti, o sentiamo al bar i discorsi tra perfetti sconosciuti, la nostra fantasia viaggia, fluttua sulle onde dei nostri pensieri. Coloro che sono maggiormente predisposti riescono, poi, a tradurre tutto questo in parole, immagini, dipinti, musica, arte in tutte le sue forme. L’immaginazione, la creatività, la capacità narrativa ha origini antichissime: già i nostri antenati preistorici raccontavano le proprie imprese, descrivevano il proprio stile di vita e ci hanno trasmesso testimonianze preziosissime con i loro dipinti rupestri disseminati in grotte e caverne o incisi su rupi e pareti. Ed è proprio la capacità di astrazione, di prendere un certo distacco dalla realtà che, in determinate situazioni, ci aiuta a sdrammatizzare, a favoleggiare, a ridicolizzare persino circostanze che, altrimenti, potrebbero deprimere, spaventare, gettare nel panico.

Risale a poco fa, alla sera di mercoledì 11 marzo, il più recente decreto che invita alla chiusura in Italia di tutte le attività che non sia possibile svolgere in modalità smartworking e che non rientrino tra le più immediate necessità (lavoro, laddove non sia possibile la modalità “agile”, nutrimento, mantenimento in salute, cura di familiari non autosufficienti). Giù le serrande ovunque, quindi, niente caffè al bar o pizza con gli amici (neppure se a distanza di 1 metro l’uno dall’altro), niente sport nelle palestre, nelle piscine, niente shopping e si esce meno possibile. Una condizione, per la mia generazione e le successive, mai sperimentata prima: nati ben dopo la conclusione del periodo bellico, non abbiamo mai avuto la necessità di privarci di niente, tanto meno della nostra libertà di movimento. Una condizione che ci sta molto stretta, come una muta da sub di due taglie più piccola, ma che stiamo imparando ad accettare perché le conseguenze dell’attuale sacrificio sono già visibili nelle zone in cui queste restrizioni drastiche sono in atto già da qualche tempo.

La situazione attuale è incomprensibile per molti di noi (bambini e ragazzi in primis); tuttavia, il tempo che “risparmiamo” non andando in ufficio ma lavorando da casa ci dà l’occasione di pensare a ciò che stiamo vivendo, di leggere, di guardare un film in più. A me ha dato modo di pensare e di ricordare. Nello specifico, mi sono venuti in mente alcuni romanzi che, frutto delle fervide fantasie dei loro autori, raccontano casi che in qualche modo potrebbero esser stati pensati come drastica evoluzione del nostro presente.

Sto pensando a Richard Matheson e al suo indimenticabile Io sono leggenda, romanzo del 1954 in equilibrio sul confine tra horror e fantascienza, che narra di un futuro in cui un’epidemia causata da un batterio ha trasformato gran parte degli esseri viventi, uomini e animali, in vampiri. Robert Neville (interpretato magistralmente da Will Smith nell’omonimo film del 2007) è forse l’unico immune al contagio. Il romanzo racconta dei suoi espedienti per procurarsi cibo e generi di prima necessità, tra momenti di grande determinazione e momenti di sconforto in cui l’alcol pare essere l’unico sollievo. Dovrà studiare, procurarsi libri e attrezzature da laboratorio per cercare di sopravvivere più a lungo possibile in questo mondo che si sgretola attorno a lui.

Ma penso anche al mio beneamato Stephen King, al lunghissimo romanzo L’ombra dello scorpione (The Stand, in versione originale), dove un virus mortale, chiamato ufficialmente “Progetto Azzurro” (per gli amici “Capitan Trips”), una mutazione letale del virus dell’influenza, con elevatissima trasmissibilità, porta a morte certa chi ne viene infettato.

E penso a Andromeda, di Michael Crichton, thriller fantascientifico in cui la minaccia è rappresentata da un microrganismo alieno giunto sulla Terra su un satellite precipitato a causa di una collisione con un meteorite. La popolazione del paesino dell’Arizona che rinviene il satellite caduto lì nei pressi muore in modo improvviso e inspiegabile; resteranno vivi, come in un canto di Guccini, solo un vecchio e un bambino, a prendersi per mano.

Ma due autori sembrano aver previsto, in qualche modo, l’attuale pandemia di coronavirus. Il primo è Dean Koontz, scrittore che ha goduto di considerevole notorietà soprattutto negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso. Il romanzo The Eyes of Darkness, scritto nel 1981, in Italia era stato snobbato per anni e sta solo ora uscendo per la pubblicazione con il titolo Abisso. Perché questo improvviso interesse dopo quasi quarant’anni? Il libro parla di un virus letale, battezzato inizialmente Gorki-400 (era all’epoca in atto la guerra fredda e tutto ciò che suonava sovietico era per gli americani sinonimo di nemico), ma fu poi rinominato nel 1996 Wuhan-400, in un momento storico in cui la Cina era diventata la rivale economica e commerciale numero uno degli Stati Uniti. Riporto un brano del libro:

Wuhan-400 è un’arma letale  […] intorno al 2020 una grave polmonite si diffonderà in tutto il mondo […] in grado di resistere a tutte le cure conosciute.

Sylvia Browne, invece, scrisse nel 2004 un libro, insieme con Lindsay Harrison, pubblicato nel 2006 in Italia con il titolo Profezie. Che cosa ci riserva il futuro. La Browne si definiva una sensitiva; si occupava di recuperare antiche profezie e rileggerle interpretandole e spiegandole in chiave attuale. Pur nella vaghezza del “vaticinio”, nel libro si legge così:

Entro il 2020 diventerà di prassi indossare in pubblico mascherine chirurgiche e guanti di gomma, a causa di un’epidemia di una grave malattia simile alla polmonite, che attaccherà sia i polmoni sia i canali bronchiali e che sarà refrattaria a ogni tipo di cura. Tale patologia sarà particolarmente sconcertante perché, dopo aver provocato un inverno di panico assoluto, sembrerà scomparire completamente per altri dieci anni, rendendo ancora più difficile scoprire la sua causa e la sua cura.

Ma, contrariamente alla “profezia”, vediamo attorno a noi un popolo forte che ha intenzione di lottare, operatori sanitari di ogni livello che sacrificano ogni loro istante per aiutare, persone che capiscono l’importanza di seguire direttive e decreti. E se continueremo così, vinceremo senz’altro.

Perché Noi siamo Leggenda.

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