“Tanto tempo fa, i marziani e le venusiane si incontrarono, si innamorarono e vissero felici insieme perché si rispettavano e accettavano le loro differenze. Poi arrivarono sulla Terra e furono colti da amnesia: si dimenticarono di provenire da pianeti diversi.”

 

Non tutti forse l’avranno letto, ma sono in pochi a non conoscere Gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere, il bestseller di John Gray (psicologo, terapeuta e consulente matrimoniale statunitense) che dal 2000 popola gli scaffali di mezzo mondo con l’obiettivo di insegnare a uomini e donne come riconoscere (e superare) le differenze che talvolta impediscono ai due sessi di comunicare.

A partire dagli anni ’90 gli psicologi si sono dedicati con grande zelo allo studio di tali differenze, approdando alle teorie che vediamo riproposte nel fortunato volume di Gray. La letteratura sull’argomento è varia e nutrita, da Brain Sex: The real difference between men and women a Why men don’t iron: the new reality of gender differences, da The Female brain a, ovviamente, The male brain. Alcuni titoli li ritroviamo tradotti anche in italiano, ad esempio Perché le donne non sanno leggere le cartine e gli uomini non si fermano mai a chiedere? Insomma, il problema è universale e la risposta sembra essere semplice: uomini e donne non si capiscono perché parlano due lingue diverse.

Di più, il loro cervello è strutturato in modo diverso e per questo sono, di fatto, impossibilitati a comunicare allo stesso modo. L’unico sistema per ovviare a questo problema sta nella presa di coscienza. Dobbiamo, in altre parole, sforzarci di imparare l’idioma alieno che ci permetterà di superare la barriera culturale interplanetaria.

In fondo è proprio di questo che si occupa Wordlovers&Co, no? Le differenze culturali e linguistiche, il saperle riconoscere, apprezzare e superare…

Ma stavolta, a quanto pare, le cose non stanno proprio come ci raccontano.

Secondo le teorie di Gray e colleghi, il divario fra uomini e donne è conseguenza naturale della diversa conformazione cerebrale fra i due sessi. Il risultato è quello che sappiamo: il cervello femminile sarebbe più portato per le attività di tipo verbale, mentre quello maschile dimostrerebbe una maggiore attitudine per quelle visive, spaziali e matematiche. Banalizzando: alle donne piace parlare. Gli uomini invece agiscono.

A dispetto delle accuse di political incorrectness, gli psicologi che sostengono questa teoria affermano di basarsi su dati scientifici che permettono loro di sfidare i principi dell’ortodossia femminista, secondo cui non esisterebbero differenze reali fra uomini e donne. Simon Baron-Cohen, autore di The essential difference: male and female brains and the truth about autism (2009), ha dichiarato di aver atteso a lungo prima di pubblicare il suo lavoro perché riteneva che l’argomento fosse “troppo controverso”.

Ebbene, per quanto controversa questa teoria ha avuto un successo sorprendente. L’idea secondo cui uomini e donne comunicherebbero in modo diverso è oramai pressoché universalmente accettata e ovunque (dalle riviste per lui o per lei, alle vignette della Settimana Enigmistica) si ritrovano, declinati in chiave pseudoscientifica o umoristica, i vecchi cliché secondo cui gli uomini non saprebbero ascoltare e parlare dei propri sentimenti, per la disperazione delle relative (loquacissime) consorti.

Marte incontra Venere nella celebre striscia Andy Capp, creata da Reg Smythe (meglio nota con il titolo di “Carlo e Alice” per i lettori della Settimana Enigmistica).

Che uomini e donne parlino due lingue diverse è ormai un dogma indiscusso e non più un’ipotesi da vagliare e dimostrare scientificamente. Capita a volte con i dogmi… del resto ci fu un tempo in cui nessuno metteva in discussione che la Terra fosse piatta… o che fosse il Sole a girarle intorno. Attenzione però: a quanto pare anche stavolta il rischio di una cantonata astronomica è più che concreto.

Il mito di Marte e Venere si basa su dati e presupposti che ci dicono essere scientifici, ma proprio alla scienza sarebbe opportuno rivolgersi per capire se queste popolari teorie siano fondate o meno. La sorpresa è che, dati alla mano, le cose non appaiono proprio come siamo abituati a credere. Se si esaminano i risultati di oltre 30 anni di ricerca sul linguaggio, sulla comunicazione e sui sessi, il quadro che ne emerge è ben più complesso e, sostanzialmente, diverso.

Stando ai fatti, l’idea che uomini e donne utilizzino in modo diverso il linguaggio per comunicare è un mito, nell’accezione di “immagine semplificata e idealizzata di un fatto o di un personaggio che esprime le aspirazioni di una collettività e che è di stimolo alla sua azione” (come lo definisce il Dizionario Garzanti).  Un mito permette all’individuo di spiegare chi è, da dove viene e perché vive in un certo modo. Che abbia o meno un fondamento storico o scientifico, il mito ha conseguenze nel mondo reale perché contribuisce a formare le nostre convinzioni e pertanto influenza il modo in cui ci comportiamo. Ci si chiede a questo punto: il mito è specchio della realtà o è nella realtà che il mito si riflette?

Per rispondere al marzulliano quesito è necessario guardare la questione un po’ più da vicino.

Il mito di Marte e Venere muove essenzialmente da una serie di postulati, più o meno condivisi e condivisibili.

  • Uomini e donne usano il linguaggio in modo diverso per comunicare.
  • La comunicazione è più importante per le donne che per gli uomini.
  • Le donne parlano più degli uomini.
  • Le donne sono più abili nella comunicazione rispetto agli uomini.
  • Per gli uomini lo scopo della comunicazione è quello di ottenere un risultato concreto, per le donne di creare legami con gli altri. Gli uomini parlano di cose e di fatti, mentre le donne parlano più spesso di persone, sentimenti e relazioni.
  • Gli uomini si esprimono linguisticamente in modo competitivo (con l’obiettivo di acquisire e conservare un certo status), mentre le donne in modo cooperativo (in un’ottica di armonia e uguaglianza).
  • Tutti queste differenze portano regolarmente a una “incomunicabilità” fra i sessi, poiché durante le interazioni, soprattutto se si tratta di rapporti sentimentali, si finisce per fraintendere le intenzioni l’uno dell’altra.

A pensarci bene, nella maggior parte dei testi che parlano delle differenze fra i sessi gli uomini non ci fanno una gran figura… a tratti arroganti, a tratti petulanti, un tantino primitivi. Esiste addirittura un libro dal titolo Se gli uomini potessero parlare (scritto dallo psicologo newyorkese Alon Gratch e pubblicato nel 2001). Ora, stereotipo per stereotipo, mi chiedo cosa succederebbe se domani qualcuno pubblicasse il corrispettivo: Se le donne potessero tacere. Oltraggio! La protesta sarebbe universale e giustificata. Mi sorprende un po’ che gli uomini, dal canto loro, non sembrino farsi troppi problemi a tollerare l’etichetta che li vuole habilis ma non del tutto sapiens.

A meno che – e qui rischio di essere impopolare – alla fin fine questo genere di luoghi comuni non torni utile. Un po’ come quello secondo cui le donne sarebbero più brave nelle faccende di casa. Lasciar fare a chi è più “competente” diventa così per alcuni un escamotage per evitare corvé di cui si fa volentieri a meno. Comunicare costa fatica, e se loro se la cavano meglio… perché sforzarsi?

Ma non credo sia questo il punto. Esistono molti casi e molti contesti in cui l’uomo non solo non ha difficoltà a esprimersi, ma addirittura tende a dominare la conversazione.

Il punto è, come sostiene Deborah Cameron, autrice di The myth of Mars and Venus, che il rapporto fra i sessi non dipende solo dalle differenze biologiche ma anche dai ruoli sociali e dagli equilibri di potere. L’idea (radicata) che la donna sia più portata ad accudire il prossimo (anche sotto forma di ascolto ed empatia, resi possibili a loro volta dalla comunicazione) non può essere del tutto svincolata dall’immagine della donna come deuxième sexe. “Nell’universo di Marte e Venere,” sostiene Cameron, “il fatto che viviamo (ancora) in una società dominata dal maschio è come il proverbiale elefante nella stanza che tutti fingono di non vedere.”

Tutte le donne parlano dei propri sentimenti? Tutti gli uomini sono concreti e concentrati sull’azione? Che esistano dei preconcetti al riguardo è un fatto, e gli psicologi hanno dimostrato che quando interpretiamo la realtà la nostra attenzione si concentra normalmente sugli aspetti che incontrano le nostre attese, trascurando inconsciamente quelli che invece proverebbero il contrario. Il risultato è che se il mito di Marte e Venere è ormai radicato nel nostro modo di vedere la realtà, allora è probabile che le generalizzazioni offerte dai libri di Gray & Co. soddisfino stereotipi a noi familiari e proprio per questo ci sembrino tanto convincenti.

Ci aspettiamo che uomini e donne siano diversi. Lo sono a livello biologico, è un fatto, e ci aspettiamo che lo siano anche a livello cerebrale. Per questo gli studi a sostegno di tale tesi attirano la nostra attenzione più di quelli che invece dimostrano il contrario. Semplicemente perché questo vogliamo vedere.

Nel libro Il cervello delle donne, pubblicato nel 2006, la neuropsichiatra americana Louann Brizendine sosteneva che la donna pronuncia una media giornaliera di 20.000 parole e l’uomo a malapena 7.000. L’informazione rimbalzò su giornali e riviste di tutto il mondo, confermando – con tutta l’attendibilità del dato scientifico – il vecchio stereotipo. Fu l’esperto di fonetica Mark Liberman, abituato a trascrivere e analizzare il linguaggio parlato, a sollevare dubbi sulla veridicità dei dati forniti da Brizendine. Le sue ricerche rivelarono che l’informazione riportata da Il cervello delle donne non era riconducibile a uno studio scientifico ma a una pubblicazione di self-help, genere tanto popolare nei paesi anglosassoni. Nessuno, apparentemente, si era mai davvero premurato di contare le parole pronunciate da un campione di uomini e donne nel corso di un’intera giornata. L’autrice del libro, capo cosparso di cenere, riconobbe l’errore e si impegnò a eliminare l’informazione dalle edizioni successive. Troppo tardi, però: l’idea che le donne parlassero il triplo dell’uomo incontrava perfettamente lo stereotipo dominante e rientrava ormai nel pot-pourri di dati pseudoscientifici che ancor oggi viene riproposto quando si vuole ricordare che la logorrea è donna.

Ma insomma, alla luce di tutto questo, marziani e venusiane davvero parlano due lingue diverse?

Parrebbe di no. Al massimo potrebbero avere la stessa difficoltà a capirsi di un triestino e un veneziano. Lo studio condotto nel 1988 sulle differenti abilità verbali dei generi da Janet Shibley Hyde (psicologa specializzata nell’interpretazione meta-analitica dei risultati delle ricerche) e Marcia Linn ha dimostrato che la differenza tra uomini e donne ammonta a “circa un decimo di un sigma” (tradotto per chi come me di statistica ci capisce poco o niente: “pochissimo, praticamente irrilevante”).

Da una serie di studi (56) basati sull’osservazione dell’interazione fra i sessi sarebbero addirittura gli uomini a parlare più delle donne (fonte: Deborah James e Janice Drakich, Understanding gender differences in amount of talk) e non viceversa.

Ecco i risultati:

  • Gli uomini parlano più delle donne: 60,8%
  • Le donne parlano più degli uomini: 3,6%
  • Le donne parlano quanto gli uomini: 28,6%
  • Risultato incerto: 7%

Ma se gli studi più autorevoli e scientificamente accreditati dimostrano che non è vero che le donne parlano più degli uomini, perché questo mito è tanto difficile da sfatare? Secondo la studiosa femminista Dale Spender, alcuni sono convinti che le donne parlino troppo per il semplice fatto che… beh, parlano. Idealmente, sarebbe meglio evitassero, punto e basta. Un punto di vista un po’ radicale, forse, ma non si può negare che gli stereotipi sulla loquacità femminile siano spesso accompagnati da disapprovazione. In altre parole, dire che “le donne parlano più degli uomini” implica tendenzialmente che “le donne parlano troppo”.

Nel tempo, il pregiudizio sociale è assurto al rango di mito, lontano ormai dai fatti e dalla realtà.

Marziani e venusiane, scopriamo, non sono poi così diversi.

Ci sono uomini bravissimi a raccontarsi, ansiosi di condividere emozioni e sentimenti. E ci sono donne che invece si chiudono, che non trovano le parole. Anche in questo caso a determinare le differenze sono per lo più l’educazione, il vissuto, il contesto sociale. Chiaro, se non possiamo contare sulla rassicurazione dello stereotipo le cose si fanno più complicate. Niente istruzioni per l’uso, niente certezze. Capirsi è una sfida, richiede sforzo e volontà, e non ci sono manuali. Non serve andare su Marte o su Venere… siamo tutti terrestri eppure in ciascuno di noi è racchiuso un intero universo, complesso, unico, talvolta contraddittorio.

Per dirla con il grande Walt Whitman:

“I am large, I contain multitudes” 

[sono vasto, contengo moltitudini].

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